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Nuova protesta choc al Cie di Ponte Galeria, un immigrato tunisino si cuce la bocca

15 maggio 2014 | 16.28
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A quanto appreso, l’uomo che ha 35 anni, è trattenuto nella struttura da oltre un mese e sarebbe affetto da un disagio psichico. Era stato fermato in Lussemburgo e rimandato, in base al regolamento di Dublino, nel nostro Paese. A renderlo noto è il Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni.

Un’immagine della precedente protesta al Cie di Ponte Galeria
Un’immagine della precedente protesta al Cie di Ponte Galeria

Nuova protesta choc al Centro di Identificazione ed Espulsione (Cie) di Ponte Galeria. Ieri un cittadino tunisino si è cucito la bocca con un ago improvvisato costruito con un filo di rame. Lo rende noto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. A quanto appreso dai collaboratori del Garante, l’uomo, un 35enne, è trattenuto nella struttura da oltre un mese e riferisce di essere affetto da un disagio psichico. Nel Cie è finito perché fermato in Lussemburgo era stato rimandato, in base al regolamento di Dublino, in Italia.

“Un episodio che dimostra le ragioni che hanno portato lo stesso Ministro Alfano a dichiarare come il problema dell’immigrazione e dell’asilo politico debba essere affrontato da tutta l’Europa”, ha dichiarato Marroni. La protesta autolesionista è durata un’ora. Grazie all’intervento degli operatori della Cooperativa e alla disponibilità mostrata dai funzionari dell’Ufficio Immigrazione l’uomo ha deciso di farsi rimuovere il filo dagli infermieri del Centro.“La vita nel Cie, tuttavia - sottolinea il Garante - è sempre attraversata da tristi sorprese: oggi, infatti, è stato prorogato il trattenimento di una cittadina di origine bosniaca, nata in Italia, e madre di due figli minori. L’esito dell’udienza, che peraltro si è svolta in assenza dell’avvocato difensore di fiducia, ha comportato il prolungamento della permanenza nella struttura della donna, lontana dai suoi figli, per altri due mesi”.

“Il gesto di quest’uomo - continua Marroni - e la storia di questa donna provano che i Cie continuano ad essere veri e propri luoghi di disperata detenzione dove il riconoscimento dei diritti fondamentali è labile e lasciato nelle mani della discrezionalità e dove, quindi, è fatale che si verifichino episodi di questo genere’’.

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